Ormai fanno parte integrante della vita quotidiana di un milione di italiani. Svolgono compiti che solo una manciata di lavoratori «italiani» sono ancora disponibili a fare.

Accompagnano gli ultimi anni di vita di molti di noi. Offrono un’alternativa assai apprezzata al ricovero in istituzioni residenziali la cui qualità lascia troppo spesso a desiderare.

L’assistente familiare – o la badante, come è più comunemente chiamata – è non solo la soluzione più conveniente sul piano dei costi, ma anche quella che garantisce, in tante situazioni, la qualità di vita migliore. Lo dicono i numeri e anche il dibattito pubblico, che le riconosce «meritevoli» di restare nel nostro Paese anche se molte di loro (probabilmente la maggioranza) sono sprovviste del permesso di soggiorno o lavorano in nero.

Il «low cost» della cura è il risultato del loro sfruttamento intensivo: una paga oraria ridotta al minimo, l’obbligo di essere presenti 54 ore alla settimana e di convivere con l’assistito, lo spettro del licenziamento dietro l’angolo in caso di malattia o di invalidità anche temporanea, la certezza che la disoccupazione arriverà (in media ogni due anni) quando la persona assistita morirà o si aggraverà tanto da richiedere il ricovero in RSA od in Hospice.

Vista dal punto di vista del beneficiario/datore di lavoro, la badante è convenienza pura e al tempo stesso qualità assicurata. Lo Stato non solo approva limitando a zero i controlli ma addirittura sostiene, indirettamente, corrispondendo ai nostri invalidi totali un’indennità mensile, liberamente spendibile per retribuire – in bianco o in nero non fa differenza – queste lavoratrici.

Ma le cose stanno cambiando rapidamente. La crisi economica ha colpito duro. Per molti anziani fragili la badante a 800-1.000 euro al mese è diventata un costo molto elevato. Sono aumentati anche i costi delle cure sanitarie, dei farmaci, della riabilitazione, e via dicendo. L’indennità di accompagnamento va bene per chi ha bisogni limitati, ma non per chi ha necessità di una cura continua.

Anche la qualità della badante non è sempre garantita. In assenza di un sistema di accreditamento delle competenze e di una qualificazione specifica, la scelta della badante è sempre un punto interrogativo. Le famiglie la scelgono sulla base del passaparola e pregano che la scommessa funzioni.

Dal canto loro, le lavoratrici non hanno ne modo ne competenze di costruire un loro cv, devono ricominciare sempre da capo, e non sanno come far valere la qualità che sanno mettere nel loro lavoro. Più che un mercato in cui qualità e costi sono trasparenti, quella delle badanti è una lotteria in cui è il più debole, ovvero l’anziano fragile, a rischiare maggiormente.

Inoltre la crisi ha spinto i governi a bloccare le frontiere anche per le badanti. Non ci sono più vere sanatorie, né vengono stabilite le quote annuali che hanno consentito, in passato, la chiamata e l’ingresso ufficiale nel paese delle lavoratrici già all’opera nelle case degli italiani.

Dobbiamo renderci conto che abbiamo bisogno di questi lavoratori, non ne possiamo fare a meno. Ma è necessario creare un sistema che renda questo lavoro sostenibile, sia per noi che loro.

Le risorse, in buona parte, ci sono già. L’indennità di accompagnamento costa allo stato circa 12,5 miliardi di euro ogni anno, e viene distribuita, a importo fisso, ad oltre 2 milioni di persone. Per cambiare basterebbero due semplici mosse:

  1. Stabilire un protocollo trasparente e valido in tutto il Paese che stabilisca, sulla base di criteri e procedure certe, il grado di invalidità di ciascuno. Si stroncherebbe così il fenomeno dei falsi invalidi, e si potrebbe usare il nuovo sistema per dare qualche beneficio in più alle persone con grave disabilità ed eliminare i soliti abusi
  2. Dare i soldi dell’indennità richiedendo, per chi ne ha necessità, l’assunzione regolare della badante (o il reperimento di servizi da società di somministrazione lavoro). L’indennità potrebbe diventare, per chi la richiede e in cambio di un premio economico, lo strumento per regolarizzare la lavoratrice di cura, garantendo al datore di lavoro/beneficiario una qualità minima della cura mediante sistemi leggeri di certificazione della badante. Tutti ne trarrebbero dei benefici: i lavoratori uscirebbero finalmente dalla semi-clandestinità, i fragili e le loro famiglie otterrebbero una qualità dei servizi più elevata e garantita, e lo Stato potrebbe ottenere qualche centinaia di migliaia in più di lavoratori occupati regolarmente.

Potrebbe essere un gioco in cui tutti hanno da guadagnarci, rendendo più civili sia le condizioni di vita dei nostri disabili che quelle delle loro badanti.