Come facilmente intuibile, non basta stabilire un accordo verbale con la badante, retribuendola con puntualità e cadenza mensile, per essere in regola con la legge. La lavoratrice si considera comunque una dipendente e come tale deve essere inquadrata.

Per assumere una bandate sono necessari:

  • la lettera di assunzione da far firmare alla badante, nella quale vi sia il contenuto minimo prescritto dal contratto collettivo per il lavoro domestico (dati anagrafici, documenti di identità, codice fiscale e recapiti di entrambe le parti, luogo di lavoro, inquadramento, eventuale convivenza, orario settimanale, mansioni, eventuale scadenza del contratto, paga oraria o mensile);
  • la comunicazione di assunzione da trasmettere all’Inps (recante gli stessi dati della lettera di assunzione) online, tramite sito web.

Bisogna poi verificare il pagamento dei contributi online relativamente a ogni trimestre dell’anno.

Badante in nero: quali sono i rischi con lo Stato?

Se la badante è una cittadina italiana o straniera regolare, i rischi per il datore di lavoro si limitano solo al campo amministrativo per quanto riguarda i rapporti con lo Stato. In particolare:

  • se la bandate ha svolto attività in nero per non oltre 30 giorni, c’è una sanzione da un minimo 1.800 euro a un massimo 10.800 euro;
  • se la bandate ha svolto attività in nero per non oltre 60 giorni, la sanzione parte da un minimo di 3.600 euro e arriva ad un massimo di 21.600 euro;
  • se la badante ha svolto lavoro in nero per oltre 60 giorni, la sanzione oscilla tra un minimo di 7.200 euro e un massimo di 43.200.

Badante in nero: quali sono i rischi con la lavoratrice?

Non meno gravi sono i rischi che si corrono nei confronti della lavoratrice. Quest’ultima infatti potrebbe avviare una vertenza di lavoro e chiedere:

  • tutti gli stipendi maturati durante il rapporto di lavoro, il cui pagamento il datore non è in grado di dimostrare con modalità tracciabili. Il che significa che se la bandate è stata sempre pagata in contanti, quest’ultima potrà chiedere tutte le mensilità dal primo giorno di assunzione fino all’ultimo, fingendo di non aver ricevuto nulla. È possibile far valere tale diritto fino a cinque anni dopo la cessazione del rapporto di lavoro;
  • le differenze retributive: ciò succede quando il datore di lavoro è in grado di dimostrare l’avvenuto pagamento delle mensilità ma queste sono di importo inferiore rispetto a quanto stabilito dal contratto collettivo nazionale. Anche in questo caso, il termine di prescrizione è di cinque anni decorrenti dalla cessazione del rapporto lavorativo;
  • contributi previdenziali: per ogni mese di retribuzione, sono dovuti anche i contributi previdenziali non versati dal datore di lavoro all’Inps;
  • il Tfr ossia il trattamento di fine rapporto che spetta nella misura di una mensilità di stipendio per ogni anno lavorato;
  • le ferie e i permessi non goduti;
  • l’indennità di preavviso per la cessazione in tronco del rapporto di lavoro.

Per far valere tali diritti, la badante può rivolgersi all’Ispettorato territoriale del lavoro, un organo amministrativo che chiederà un colloquio con il datore di lavoro per tentare una mediazione e fare in modo che questi versi bonariamente il dovuto, diversamente rischiando le sanzioni.

In alternativa, la lavoratrice può rivolgersi al tribunale ordinario, per mezzo del proprio avvocato, affinché ingiunga al datore di lavoro il pagamento di tali somme.